"Costruzione dell'alleanza terapeutica nei primi colloqui"
L’idea di alleanza terapeutica (Zetzel, 1958), o alleanza di lavoro (Greenson 1967), rimanda a concetti quali resistenza, transfert e scissione. Già Freud aveva accennato a tale costrutto, definendolo con il termine generico alleanza: “Com’è noto, la situazione analitica consiste nell’alleanza che noi stabiliamo con l’Io della persona che si sottopone al trattamento al fine di assoggettare – e cioè includere nella sintesi del suo Io – porzioni incontrollate del suo Es” (Freud, 1937). Egli concepiva una componente irreprensibile del transfert positivo per spiegare la cooperazione del paziente con l’analista al processo psicoanalitico (Shane et all 1997). Nel Dizionario di Psicoanalisi dell’American Psychianlytic Association, infatti, si legge: “L’alleanza si basa su una scissione terapeutica dell’Io del paziente” (APA, 1990); ciò significa che un’area dell’Io del paziente si scinde e si identifica con gli obiettivi e i metodi del trattamento (insight, controllo conscio, comprensione) e osserva la parte che vive l’esperienza.
Sia Zetzel che Greenson nell’introdurre i concetti di alleanza terapeutica/di lavoro attuano un tentativo di superare una visione della psicoanalisi monopersonale, come un processo fondamentalmente intrapsichico che l’analista semplicemente favorisce attraverso un atteggiamento anonimo e impersonale, sottolineando invece gli aspetti più reali, umani e di partecipazione emotiva dell’analista. Questa concezione resta però incastrata in una divisione tra transfert, inteso come trasferimento inconscio di modelli emozionali, di pensiero e comportamentali originati nell’infanzia su una persona del presente (APA, 1990), e relazione reale con l’analista: una relazione transferale, distorcente, e una relazione reale, depositaria dell’alleanza terapeutica.
Bisognerà aspettare gli intersoggettivisti Stolorow e Atwood (1992) che affermano con forza l’importanza dell’influenza dell’osservatore sull’osservato: essi mettono radicalmente in discussione l’esistenza di una “realtà oggettiva” nota all’analista e distorta dal paziente (Stolorow, Brandchaft e Atwood, 1987). Gli autori credono che “l’unica realtà che attiene e che è accessibile all’indagine psicoanalitica (cioè all’empatia e all’introspezione) è la realtà soggettiva: del paziente, dell’analista.
L’empatia, o meglio l’applicazione sistematica della percezione empatica (Lichtenberg et all. 1996), è anche il metodo attraverso cui possiamo raccogliere informazioni circa il vissuto dei pazienti e risulta quindi imprescindibile sin dal primo incontro. Questo secondo principio della tecnica è l’unico modo che abbiamo per comprendere come il paziente percepisca se stesso, i propri stati mentali, cognitivi e affettivi, la propria storia dalla sua “prospettiva mentale” (Lichtenberg et all 2005). Kohut, specificatamente rispetto alla costruzione dell’alleanza terapeutica nei primi colloqui, parla della possibilità di attendere in maniera rispettosa i tempi del paziente, senza sostenere in modo eccessivo la relazione, bensì modellando il proprio approccio sulla base dell’esperienza che l’analista fa del paziente (empaticamente) e viceversa: secondo l’autore è la percezione realedell’analista da parte del paziente come persona seria, dedita all’ascolto in maniera autentica a creare fiducia.
Pertanto il compito che ci prefiggiamo sin dal primo colloquio è quello di sintonizzarci con gli stati mentali del paziente per favorire l’esplorazione; è quindi importante un’attenta analisi della domanda che si svolga all’interno di una cornice amichevole e un clima di sicurezza (Lichtenberg et all. 1996) poiché questo facilita proprio l’esplorazione. Nel descrivere questo primo principio della tecnica, Lichtenberg parla di una cornice di amichevolezza, costanza, affidabilità e di un ambiente sicuro in cui vi sono in gioco le aspettative, i bisogni, i desideri e gli obiettivi di paziente e terapeuta, entrambi impegnati nel co-costruire una relazione momento per momento, e dove l’analista ha il primario compito di favorire il più possibile una base sicura come fondamento per la terapia. Il primo colloquio, dice Lichtenberg, porta con sé un grande paradosso: è un incontro tra due persone che non hanno ancora un impegno reciproco eppure sono già in un certo grado coinvolte nel tentativo di organizzare qualcosa tra loro. Inoltre il paziente è impegnato nel difficilissimo compito di affidare ad uno sconosciuto parti di sé dolorose. Quindi più che di alleanza, a questo livello, si può parlare di attenzione, da parte del terapeuta, agli aspetti di co- costruzione che caratterizzano la diade analista-paziente.
Risulta evidente come nel porre in primo piano l’ambiente facilitante, non si possa che fare riferimento a tutti gli aspetti impliciti e non verbali dell’interazione di cui oggi siamo a conoscenza. Grazie al lavoro di Beebe e Lachmann (2002) sappiamo che la comunicazione è un processo interattivo continuo che va ben oltre il contenuto verbale e che questa è interamente bidirezionale: i ritmi tra due soggetti in relazione sono sempre coordinati anche al di fuori della loro consapevolezza. I cambiamenti del volto, del tono della voce, l’orientamento posturale, gli sguardi, le pause, la corrispondenza dei ritmi nello scambio sono strumenti essenziali per conoscere l’altro; pertanto, all’interno del processo terapeutico e maggior ragione nei primi colloqui, l’analista ha il compito di considerare questi aspetti non verbali e le loro variazioni come informazioni importanti sul paziente; allo stesso modo ha il compito di prestare attenzione al suo stesso comportamento non verbale.
Sempre secondo il modello sistemico-diadico delle interazioni, l’interazione è il risultato dell’integrazione tra autoregolazione e regolazione interattiva sia a livello esplicito (narrazioni verbali) che a livello implicito (sequenze comportamentali); esiste un “modello di equilibrio intermedio” in cui l’autoregolazione è mantenuta ma non è eccessiva e la regolazione interattiva è presente me non obbligatoria: secondo questo modello il terapeuta osserva in parallelo due processi dentro di sé e ne inferisce due nel paziente. Questi due processi sono alla base degli scambi interattivi tra paziente e analista e questi deve tenere in considerazione che il proprio processo di autoregolazione modifica continuamente il processo di regolazione interattiva ed è da esso modificato.
La nozione di alleanza terapeutica declinata secondo l’approccio della Psicoanalisi Contemporanea fa riferimento alla relazione. Se tutta la situazione analitica viene concepita in un ottica di co- costruzione attiva e la qualità e la regolazione delle interazioni diventano temi centrali della tecnica mi sembra che vengano a mancare i presupposti per identificare un costrutto che invece era apparso necessario in una fase in cui gli aspetti relazionali venivano sottovalutati.
Bibliografia
America Psychoanalytic Association, (1990), Dizionario di Psicoanalisi, Sperling e Kupfer Editori, Milano, 1993;
Beebe B., Lachmann F.M. (2002), Infant Research e trattamento degli adulti: un modello sistemico- diadico delle interazioni, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2003;
Freud, S., (1937), Analisi terminabile e interminabile. Costruzioni nell’analisi, Bollati Boringhieri, Torino, 2000, p 96;
Greenson, R. R., (1967-1972), Tecnica e Pratica Psicoanalitica, Feltrinelli Editore, Milano, 1974; Kohut H., (1978), La ricerca del sé, Bollati Boringhieri, Torino 1982;
Kohut H., (1996), Lezioni di tecnica psicoanalitica, Astrolabio, Roma, 1997;
Lichtenberg J.D., Lachmann F.M., Fosshage J.L., (1996) Lo scambio clinico, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2000;
Lichtenberg J.D., (2005), Mestiere e ispirazione, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2008;
Shane M., Shane E., Gales M., (1997), Attaccamenti Intimi, Astrolabio, Roma, 2000.
Stolorow R., Atwood G., Brandchaft B., (1994), La prospettiva intersoggettiva, Roma, Edizioni Borla, 1996;
Stolorow R. D., Atwood G. E., (1992), I Contesti dell’Essere, Bollati Boringhieri, Torino, 1995;
he Boston Change Process Study Group (2010), Il cambiamento in psicoterapia, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2012;
Zetzel, E., R. (1958), The Therapeutic Alliance. In: The capacity for emotional growth. International Universities Press, Ney York, 1970, pp 182-196
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