Porges: teoria polivagale e clinica

La tesi principale della teoria polivagale di Porges è che il SNA è composto da tre branche fondamentali, l’una in grado di promuovere l’attacco-fuga-congelamento (sistema nervoso simpatico), l’altra in grado di innescare la reazione di morte apparente (sistema nervoso parasimpatico dorso-vagale) e la terza in grado di promuovere l’aiuto reciproco e l’affiliazione (parasimpatico ventro-vagale).

La branca dorso-vagale del sistema parasimpatico, che stimola la immobilizzazione (morte apparente), ha fibre afferenti agli organi sotto-diaframmatici, mantiene l’omeostasi, è informata e dà informazioni dalle/alle funzioni viscerali di base (stomaco, intestino tenue, colon, vescica) ed è filogeneticamente primitiva ovvero condivisa tra rettili e mammiferi. Successivamente nei mammiferi si è sviluppata una terza branca, il sistema parasimpatico ventro-vagale, che è più recente, mielinizzato, che differenzia filogeneticamente i mammiferi dai rettili ed è legata a comportamenti di attaccamento, affiliazione e aiuto reciproco. Essa può attivarsi solo in condizioni di sufficiente sicurezza, ha fibre afferenti agli organi sopra-diaframmatici, riceve/dà informazioni ai muscoli del volto, della faringe, dei polmoni, del cuore e quindi consente l’espressione delle emozioni attraverso il volto, la voce, la prosodia e il respiro.

La teoria polivagale, dunque, si differenzia dal modello classico “duale, antagonista e simpato-centrico” di SNA che vede un’alternanza tra reazioni simpatiche e parasimpatiche, dove c’è un sistema responsabile della mobilizzazione di fonte al pericolo (attacco/fuga/freezing), e quindi della nostra sopravvivenza, ed uno responsabile della riduzione dell’arousal e del recupero dell’omeostasi.  Porges, invece, utilizza una lettura evoluzionistica e filogeneticamente determinata delle nostre reazioni al pericolo, utilizzando un principio di relazione gerarchica delle reazioni dell’uomo al pericolo: quando le reazioni più recenti e filogeneticamente più evolute (ventro-vagali) non funzionano, scattano le reazioni più antiche (simpatico, attacco/fuga/freeznf) e infine rettiliane (dorso-vagali dunque l’immobilizzazione).

  1. Il primo circuito che compare (il più arcaico filogeneticamente) è quello denominato dorso-vagale, osservabile nei rettili e nei mammiferi superiori; è collegato con la regolazione dei processi vegetativi e del funzionamento degli organi posti al di sotto del diaframma. Si attiva in condizioni di pericolo estremo, creando uno stato di rallentamento che arriva fino all’immobilizzazione (la difesa dei rettili), e determina, quindi, uno stato di immobilità che non nasce da una condizione di sicurezza, bensì da estrema paura. Nei mammiferi superiori questa condizione di immobilizzazione con paura è collegata all’ottundimento mentale e alla perdita del senso di controllo e le emozioni sottostanti sono tristezza, disgusto, imbarazzo e, ovviamente, paura. Quando il circuito dorso-vagale è attivo riscontriamo, nella persona muscoli flaccidi, sguardo perso nel vuoto, cuore bradicardico e movimento del collo all’indietro (il movimento della tartaruga, come a volersi nascondere). Il corpo è stanco e pesante e tende al movimento verso il basso; si verifica un rallentamento delle risposte muscolari e scheletriche con riduzione dell’apporto di ossigeno. Lo stato dorso-vagale si associa frequentemente a condizioni depressive.
  • Uno stadio filogenetico successivo ha portato allo sviluppo del sistema simpatico, che regola la capacità metabolica e il battito cardiaco, ossia tutte quelle reazioni che, a livello fisiologico, sono collegate al meccanismo di attacco-fuga, la reazione di difesa elettiva del mammifero di fronte al pericolo; il sistema simpatico, quando si attiva, inibisce il tratto gastrointestinale, che è molto dispendioso in termini energetici (se devo difendermi da un pericolo la digestione passa in secondo piano…). L’attivazione del sistema simpatico è osservabile attraverso uno stato di mobilizzazione: aumentano le tensioni muscolare, l’ossigenazione, la vasocostrizione e la frequenza del battito cardiaco; l’energia fluisce verso l’avanti e verso l’alto, la mandibola si serra. In questo caso, le emozioni sottostanti sono la paura e la rabbia.
  • Lo stadio filogenetico ancora successivo ha portato allo sviluppo del circuito ventro-vagale, che è specifico dei mammiferi superiori e dell’uomo; si tratta di un circuito che ha un effetto calmante e frenante, perché frena l’attività del simpatico; il battito cardiaco decelera, ma, in questo caso, si tratta di un’immobilizzazione senza paura, in assenza di pericolo. Quando la persona è in uno stato ventro-vagale il battito cardiaco rallenta (ma non è la bradicardia dovuta alla paura, come avviene nello stato dorso-vagale), il respiro diventa più lento e profondo, avviene la modulazione dei muscoli dell’orecchio medio (che migliora la capacità di prestare ascolto e comprendere) e possiamo osservare movimenti armonici del collo e della testa. La persona si sente in sicurezza e può fare diverse attività.

Il sistema di autoregolazione parte, quindi, da un sistema primitivo di inibizione (il sistema rettiliano), si affina, nel corso dell’evoluzione, con il sistema di attacco-fuga, e culmina in un sistema sofisticato di ingaggio sociale mediato dalle espressioni facciali e dalla vocalizzazione.

Il nostro sistema nervoso autonomo è evoluto per passare rapidamente dalla condizione di coinvolgimento sociale (sicurezza – circuito ventro-vagale attivo) ad una di reazione per affrontare un pericolo (minaccia – sistema simpatico attivo/dorso-vgale) Il passaggio opposto, quello da uno stato dorso-vagale ad una attivazione del sistema simpatico (dall’immobilizzazione alla mobilizzazione), o da uno stato dorso-vagale ad uno ventro-vagale, presuppongono una risalita più difficile da attuarsi: il sistema nervoso autonomo è configurato per scendere facilmente, non altrettanto facilmente per risalire verso una condizione di autoregolazione correlata ad uno stato di sicurezza. Di conseguenza, accade che il sistema nervoso di una persona che ha subito un trauma sia intrappolato nello stato di allerta dorsovagale o simpatico, come se il pericolo fosse sempre in atto, perdendo la propria flessibilità.

Quando il vago sottodiaframmatico viene utilizzato per gli stati di difesa, e dunque in situazioni di persone traumatizzate, può emergere una diversa gamma di disturbi clinici proprio a causa della continua sollecitazione del sistema parasimpatico dorso-vagale. A livello funzionale, il nostro sistema nervoso sta continuamente effettuando valutazioni del rischio al di fuori del campo della consapevolezza e cambia istintivamente lo stato fisiologico per ottimizzare le categorie di comportamento – coinvolgimento sociale, attacco fuga o spegnimento (NEUROCEZIONE). I pazienti potrebbero quindi mostrare fibromialgia, problemi digestivi e intestinali, difficoltà a fare e a godere del sesso, sebbene desiderano farlo. Diversi sintomi clinici, che tendono ad essere visti all’interno del mondo medico come facenti parte unicamente della dell’organo bersaglio, potrebbero essere legati a una perturbazione della regolazione neurale di questi organi.

Teoria polivagale e clinica

Lo stato dorso-vagale e lo stato di attivazione del sistema simpatico, nella loro apparente antiteticità, sono accomunati dal fatto che la persona si sente in pericolo e questo non le consente di coinvolgersi in una serena interazione sociale, dato che l’organismo sta fronteggiando una minaccia.

Nelle esperienze traumatiche (nell’ambito della relazione di attaccamento) l’interazione sociale non è più fonte di sicurezza, cosa che può determinare uno stato dissociativo nella persona, la quale cerca, in questo modo, di distanziarsi da contenuti emotivi dolorosi; si verifica, a livello cerebrale, la violazione di “un’aspettativa neurale”, determinata dalla mancanza di reciprocità nella relazione e dall’assenza di sintonizzazione. Ciò pone le premesse per un atteggiamento conservativo, osservabile nelle persone che hanno subito dei traumi, le quali sono portate ad interpretare le situazioni neutre come situazioni potenzialmente pericolose da cui bisogna difendersi. Quando il trauma è relazionale, infatti, ogni essere umano può essere percepito come fonte di estremo pericolo.

Nei processi comunicativi tra esseri umani non sono le parole e i contenuti verbali, bensì le caratteristiche melodiche, la prosodia, l’intonazione, i contenuti emotivi che agiscono sul nervo vago mielinizzato, il quale controlla anche l’attivazione del sistema di difesa.


In ambito terapeutico, ricorda Porges, è necessario individuare lo stato fisiologico del cliente e capire come ne condiziona il comportamento. Inoltre, è estremamente importante prestare attenzione al linguaggio non verbale e alla prosodia della voce, tenendo presente che un paziente che ha subito un trauma può essere molto sensibile a stimoli acustici a bassa frequenza che ispirano un senso di pericolo; si tratta di una forma di vulnerabilità del sistema nervoso del cliente. L’importanza del lavoro di Porges nel lavoro terapeutico è data soprattutto dalla possibilità che ci dà di osservare l’attivazione o la dis-attivazione di questi sistemi fisiologici e innati nella relazione terapeutica.

Come sappiamo, la percezione soggettiva di essere o sentirsi al sicuro può essere molto compromessa nelle persone che mostrano una qualche sofferenza psicologica, dal disturbo di panico ai comportamenti legati all’impulsività e, in quest’ottica, la comprensione dei sintomi in una chiave evolutiva può offrire una valida spiegazione a reazioni altrimenti incomprensibili e apparentemente prive di razionale fondamento.

La minaccia alla sicurezza personale, ad esempio, può essere sperimentata in condizioni di solitudine o al contrario di eccessiva intimità. Ci si può sentire in pericolo nelle mura di casa o per strada, in ascensore o all’aperto, in una folla o in una piazza vuota.

Un aspetto su cui può essere utile focalizzarsi è l’intonazione della voce nel dialogo clinico, poiché sappiamo dalla neurofisiologia che la nostra attenzione come esseri umani è più focalizzata sulla prosodia che sulle parole utilizzate. All’interno di un dialogo riusciamo a cogliere intuitivamente che le frequenze più alte sono associate alla presenza di ansia e paura e che la presenza di toni bassi e volume alto sono associati solitamente a rabbia e aggressività. Anche i pazienti, dunque, sono portati a giudicare costantemente lo stato emotivo del terapeuta ascoltando innanzitutto l’intonazione della sua voce, come espressione della sua regolazione interna (neurocezione).

Potrebbe essere utile sapere che quello che davvero guida l’interazione è questo rapporto diadico tra la propria neurocezione e quella dell’altro, in un costante rimando di feedback che regolano l’affettività e promuovono sensazioni di sicurezza e fiducia. Da questo deriva un terzo aspetto importante legato al ruolo possibile del terapeuta/medico come co-regolatore dello stato emotivo e mentale del paziente; quando questo scambio avviene in modo positivo e adattivo, la co-regolazione degli stati emotivi favorisce l’emergere di nuove e incredibili capacità prima inesplorate. Porges sostiene che gran parte del processo terapeutico abbia molto a che fare con questo.

Il circuito ventro-vagale ci permette, quando siamo in condizione di sicurezza, di promuovere altra sicurezza; noi intercettiamo questi segnali attraverso l’interazione sociale, decodificando in modo istintivo messaggi che derivano dal contatto oculare e dalla voce, inviando segnali di risposta, entrando in relazione e promuovendo l’autoregolazione delle sensazioni fisiologiche.

Per attivare il circuito ventro-vagale abbiamo a disposizione anche alcuni espedienti, che agiscono a livello corporeo e hanno un effetto regolante:

  • lavorare sul respiro (inspirazione corta, espirazione lunga, senza forzare per non andare in iperventilazione), incluso il canto (perché è un’attività che induce il respiro lungo) e il canto corale, che presuppone anche la necessità di sintonizzarsi con gli altri;
  • esercizi di coerenza cardiaca (respiri lunghi, immaginando il cuore al centro, respiro che “culla il cuore”);
  • musica ad alta frequenza (che ha un’influenza regolante sul circuito ventro-vagale).

L’obiettivo è, in generale, condurre il paziente a sperimentare sensazioni corporee e vissuti positivi, in modo che acquisti confidenza e familiarità con uno stato di regolazione. Si cerca di traghettare il paziente da sensazioni ed emozioni negative a sensazioni corporee ed emozioni positive, insegnandogli a riconoscere le sensazioni piacevoli; si tratta di un lavoro che richiede tempo e gradualità.

Molto importante è anche il contatto oculare, che rappresenta anche la via maestra attraverso cui il bambino apprende dal caregiver i comportamenti di regolazione; un buon contatto oculare presuppone una microregolazione continua (il contatto deve esserci senza essere, però, prolungato ed eccessivo), come, ad esempio, i contatti oculari brevi, non forzati e con un’intensa coloritura affettiva osservabili nella relazione madre-bambino quando siamo in presenza di un attaccamento sicuro.