Taylor G.J. - I disturbi della regolazione affettiva
Disregolazione affettiva e alessitimia
La capacità di esperire e regolare gli affetti viene acquisita nei primi anni di sviluppo e le situazioni in grado interferire con una normale acquisizione di questa capacità sono numerose. Queste possono determinare una disposizione alla disgregolazione affettiva che è evidente nei disturbi di personalità, nella psicopatologia o in una salute fisica piuttosto fragile. L’autoregolazione affettiva è stata messa in relazione anche con il recente costrutto dell’intelligenza emotiva (Goleman, 1995). I soggetti dalla scarsa intelligenza emotiva hanno difficoltà nel valutare accuratamente le emozioni e nell’esprimerle, nel regolare efficacemente e nell’utilizzare i sentimenti come guida per il comportamento.
Il costrutto di alessitimia
Secondo la sua definizione attuale il costrutto dell’alessitimia si compone delle seguenti caratteristiche: 1- difficoltà nell’identificare i sentimenti e nel distinguerli dalle sensazioni corporee che si accompagnano all’attivazione emotiva 2- difficoltà nel descrivere agli altri i propri sentimenti 3- processi impaginativi limitati, evidenziati dalla povertà delle fantasie e infine 4- stile cognitivo collegato allo stimolo e orientato all’esterno (Nemiah, Freyeberger e Sifneos,1976, Taylor,1994). A prima vista alcuni soggetti classificati come alessitimici sembrano contraddire questa definizione del costrutto, in quanto presentano una disforia cronica o manifestano accessi di pianto collera o rabbia. Un’indagine approfondita mostra tuttavia che essi sanno molto poco sui propri sentimenti e in molti casi sono incapaci di collegarli con ricordi, fantasie, affetti, di livello superiore o situazioni specifiche. Sulla base di alcune altre osservazioni cliniche diverse caratteristiche addizionali sono state associate con il costrutto dell’alessitimia tra cui una tendenza al conformismo sociale, una tendenza a ricorrere all’azione per esprimere le emozioni o per evitare i conflitti, una scarsa capacità di ricordare i propri sogni, una postura piuttosto rigida ed una certa povertà nell’espressione facciale delle emozioni. Se queste caratteristiche sono spesso associate all’alessitimia, esse non fanno tuttavia parte del nucleo teorico del costrutto. Il conformismo sociale, la tendenza all’azione, e l’incapacità di ricordare i sogni non si sono rivelate caratteristiche fondamentali dell’alessitimia nel corso del processo di validazione del costrutto. L’esperienza clinica suggerisce che per caratterizzare l’ alessitimia è più importante la qualità dei sogni che la capacità di ricordarli.
L’alessitimia e i problemi della regolazione affettiva
Anche se il costrutto dell’alessitimia è definito in termini di caratteristiche cognitive identificabili, queste caratteristiche riflettono dei deficit sia nel dominio cognitivo- esperienziale dei sistemi di risposta emotiva sia a livello della regolazione interpersonale dell’emozione. Essendo incapace di identificare accuratamente i propri sentimenti soggettivi, il soggetto alessitimico ha una scarsa capacità di comunicare verbalmente agli altri il proprio disagio emotivo, e non riesce quindi ad utilizzare le altre persone come fonti di aiuto o di conforto. La scarsità dell’immaginazione limita inoltre la misura in cui i soggetti alessitimici sono in grado di modulare l’ansia e le altre emozioni mediante la fantasia, i sogni, l’interesse e il gioco (Krystal,1979). Privi della conoscenza delle loro stesse esperienze emotive, essi non riescono ad immedesimarsi in un’altra persona e sono dunque non empatici ed incapaci di modulare gli stati emotivi degli altri (Goleman, 1995;Krystal,1979). Se alla base dell’alessitimia ci sono delle menomazioni della capacità di elaborare e regolare le emozioni non è sorprendente che essa sia stata concettualizzata come un possibile fattore di rischio per molti disturbi somatici e psichiatrici che hanno a che fare con problemi di regolazione affettiva. Un’incapacità di modulare le emozioni per mezzo dell’elaborazione cognitiva potrebbe anche spiegare la tendenza dei soggetti alessitimici a scaricare la tensione causata da stati emotivi sgradevoli mediante atti impulsivi o comportamenti compulsivi quali abbuffarsi di cibo, l’abuso di sostanze, il comportamento sessuale perverso o l’inedia volontaria caratteristica dell’anoressia nervosa. Oltre ad una disposizione agli stati affetti negativi indifferenziati, i soggetti alessitimici mostrano una scarsa capacità di provare anche emozioni positive come gioia, felicità e amore.
Le critiche rivolte al costrutto di alessitimia.
Anche se le caratteristiche cliniche e la definizione del costrutto alessitimia non sono oggetto di disaccordo, c’è stata una controversia sulla natura dell’alessitimia se esso sia un tratto di personalità stabile uno stato transitorio secondario ad un malessere psicologico associato con una malattia acuta o con qualche altra situazione stressante, o ad una risposta adattativa ad una malattia cronica. Alcuni considerano l’alessitimia, una difesa contro i conflitti nevrotici piuttosto che un deficit affettivo, come invece è stato proposto da Nemiah (1977) e da Sifneos (1994). Riguardo alla controversia se l’alessitimia sia un tratto o uno stato Freyberger (1977) e altri hanno osservato una restrizione dell’espressività emotiva e dell’ attività immaginativa in alcuni pazienti sottoposti a emodialisi e in altri che si trovavano in pericolo di vita in un’unità di rianimazione. Freyberger ha chiamato questo fenomeno simile al alessitimia alessitimia secondaria e ha affermato che esso può divenire una caratteristica permanente di quei pazienti la cui malattia si cronicizza. Sifneos usa il termine alessitimia secondaria in modo differente da Feyberger, per riferirsi a quelle caratteristiche alessitimiche causate da un arresto dello sviluppo, da un grave trauma psicologico avvenuto nell’infanzia o più tardi, a fattori socioculturali psicodinamici. Egli la contrappone all’alessitimia primaria, che attribuisce invece a deficit neurobiologici. Oggi l’alessitimia coinvolge tutto un insieme di fattori, tra i quali variazioni costituzionali ed ereditarie dell’organizzazione cerebrale e carenze nell’ambiente familiare e in quello sociale del bambino. Un grave trauma psicologico può inoltre non solo sopraffare l’io e determinare una regressione del funzionamento affettivo ma anche produrre dei cambiamenti permanenti dell’eccitabilità neuronale i quali contribuiscono alle caratteristiche cliniche della alessitimia. È anche vero che un blocco nello sviluppo delle capacità di regolazione affettiva nel corso dell’infanzia produce in genere caratteristiche di personalità che rimangono costanti attraverso gli anni e le differenti situazioni. Sembra dunque più chiaro distinguere tra alessitimia in quanto tratto di personalità stabile, indipendente dall’eziologia e l’ alessitimia che è dipendente da uno stato, e scompare una volta che la situazione stressante che l’ha originata si modifica.
La relazione tra l’ alessitimia e altri costrutti
Due costrutti psicologici con i quali l’alessitimia è strettamente correlata sono la disposizione psicologica e l’intelligenza emotiva. Mentre l’intelligenza emotiva è un costrutto di recente formulazione, il concetto di disposizione psicologica è impiegato da svariati decenni per riferirsi a un insieme di capacità che si ritiene incrementino la probabilità di riuscita delle psicoterapie di tipo introspettivo. A differenza dell’alessitimia, tuttavia, esistono poche ricerche che si sono occupate di valutare la validità di questi due costrutti. Salovey et al. (1993) concettualizzano l’intelligenza emotiva come un costrutto dimensionale che comprende una serie di abilità coinvolte nella valutazione, l’espressione e la regolazione delle emozioni in se stessi e negli altri, così come nella capacità di utilizzare i sentimenti come guida dei propri pensieri e azioni. Questi ricercatori pongono giustamente l’alessitimia grave all’estremo inferiore della scala dell’intelligenza emotiva. Alcuni teorici ritengono anche che esista una sovrapposizione tra l’alessitimia e il costrutto dell’inibizione. Ma anche se è dimostrato che a lungo termine l’inibizione dell’espressione delle emozioni porta ad un aumento di attivazione del sistema nervoso autonomo, il che può avere effetti negativi sulla salute fisica, l’inibizione differisce dalla alessitimia in quanto si tratta di un atto di repressione conscio e non di un’incapacità di differenziare pienamente le emozioni e di integrarle con delle strutture cognitive sempre più complesse. Inoltre anche se lo stile di adattamento che utilizza la rimozione coinvolge una scissione della consapevolezza soggettiva degli affetti dall’attivazione fisiologica, e sebbene esso sia anche stato messo in relazione con alcuni disturbi somatici, la rimozione è essenzialmente un meccanismo inconscio di difesa che l’io utilizza per mantenere certi pensieri e sentimenti al di fuori del campo della coscienza. Strettamente legato alla rimozione è il concetto di dissociazione con il quale l’alessitimia può anche essere confusa. Come l’alessitimia anche la dissociazione ha diversi gradi e può essere presente negli individui normali, anche se essa è più frequente quando ci sono disturbi psichiatrici gravi. Sebbene Freud abbia spesso utilizzato il termine dissociazione come sinonimo di rimozione, la dissociazione è oggi considerata un meccanismo separato, in cui si verifica una rottura della normale integrazione di cognizione, affetto, comportamento, sensazione e identità. Nemiah (1989) puntualizza che la concettualizzazione freudiana della dissociazione differisce in modo significativo da quella di Janet. Mentre Freud attribuiva la dissociazione alla rimozione attiva di contenuti mentali indesiderabili ed emotivamente dolorosi, da parte di un io abbastanza forte da bandire dalla coscienza, Janet vedeva la dissociazione come risultato di uno slittamento passivo di contenuti mentali fuori dall’io, il quale è troppo debole per trattenerli alla coscienza. In una terminologia più moderna, Nemiah vuol dire che la formulazione di Freud era basata su di un modello di conflitto psicodinamico nella formazione del sintomo, mentre Janet impiegava un modello psicopatologico basato su un deficit dell’io. Come abbiamo già affermato è il secondo dei due modelli che ha guidato la concettualizzazione del costrutto dell’alessitimia.
Il ruolo dei fattori legati allo sviluppo dell’ eziologia dell’alessitimia
Lo sviluppo degli affetti e delle capacità di regolazione di questi è facilitato nella primissima infanzia dall’esperienza di condivisione degli affetti e del rispecchiamento delle espressioni affettive con il caregiver primario e in seguito dalle interazioni giocose nelle quali si verifica l’apprendimento della denominazione e dell’espressione dei sentimenti. Numerosi studi hanno dimostrato che quando il caregiver primario non è emotivamente disponibile, o quando il bambino è ripetutamente soggetto a risposte incoerenti a causa dalla mancanza di sintonizzazione del genitore allora il bambino ha forti probabilità di manifestare delle anomalie nello sviluppo e nella regolazione degli affetti e di sviluppare uno stile di attaccamento insicuro. Se i segnali affettivi del bambino sono costantemente rifiutati, e specialmente se le risposte affettive del caregiver sono fuorvianti, il bambino sviluppa un comportamento evitante e meno espressivo da un punto di vista emotivo per quel che riguarda gli affetti sia positivi che negativi, e non riesce ad imparare il significato e le funzioni di segnale degli affetti. Le madri dei bambini insicuri -evitanti hanno spesso una scarsa espressività emotiva. Quando la comunicazione affettiva del bambino riceve delle risposte incoerenti, egli sviluppo uno stile di attaccamento insicuro – ambivalente e la difficoltà nel regolare lo stress emotivo. Secondo Crittenden (1994) gli stili di attaccamenti insicuri sono associati con schemi interni o modelli di rappresentazione che riflettono un mancato processo di integrazione delle informazioni affettive con quelle cognitive. Mentre il bambino insicuro- evitante sviluppa dei problemi di riconoscimento ed espressione degli affetti e impara a basarsi esclusivamente sulla cognizione il bambino insicuro ambivalente è incapace di utilizzare la cognizione per regolare di affetti. E stato anche osservato che alcune madri interferiscono con la creazione da parte del bambino dell’oggetto transizionale, impedendogli di utilizzare gli oggetti precursori o offrendosi a lui come unica fonte di soddisfazione (Gardini, 1978). Queste intrusioni inibiscono nei bambini il nascere di attività immaginative tra cui la capacità di creare fantasie e il gioco, e bloccano così lo sviluppo di importanti capacità di regolazione effettiva (Deri 1984; Tustin ! 988). Privati dell’esperienza della relazione transizionale questi bambini possono continuare ad affidarsi per ridurre la tensione ad oggetti di sensazione o ad attività auto sensoriali quali il dondolarsi, il succhiarsi il pollice in modo eccessivo, arricciarsi i capelli o il masturbarsi . Queste modalità primitive di regolazione effettiva riflettono un livello preconcettuale di organizzazione emotiva, e possono trasformarsi nell’adolescenza e in età adulta in forma di attività a dominante sensoriale quale fumare o bere troppo oppure il masticare, il ruminare, l’abbuffarsi e il vomitare tipico dei pazienti bulimici. Alcune ricerche mostrano che gli stili di attaccamento insicuri nell’infanzia e i problemi di sviluppo e regolazione effettiva ad essi associati sono a volte legati ad un disturbo depressivo o ansioso della madre e/o ad una perdita e ad un trauma non risolti (Manasis 1994; Radke-Yarrow 1985). È anche dimostrato che i bambini maltrattati rischiano di sviluppare disregolazione affettive e comportamentali (Shields, Cicchetti e Ryan 1994); questi bambini hanno un’alta probabilità di sviluppare uno stile di attaccamento disorganizzato/disorientato che è stato messo in relazione con la presenza di genitori che suscitano nel bambino paura piuttosto che un senso di sicurezza e che possono anch’essi aver subito violenza nell’infanzia. Alcuni risultati suggeriscono che i problemi di regolazione effettiva dei bambini maltrattati sono, in parte, una conseguenza della disapprovazione dei genitori riguardo le loro espressioni affettive e dell’incapacità di questi di insegnare al bambino a denominare l’emozione e altri stati interni (Cicchetti 1991). Secondo Crystal l’alessitimia è la conseguenza di un trauma psichico subito dal bambino prima che gli affetti siano stati pienamente desomatizzati, differenziati e rappresentati verbalmente. Tra le conseguenze di questo trauma infantile egli include l’arresto dello sviluppo affettivo e di quello dell’immaginazione, un’anedonia che resta stabile per tutta la vita e un timore nei confronti degli affetti stessi. Questi ultimi divengono opprimenti e traumatici a causa della loro natura rudimentale e dell’immaturità della mente del bambino. L’autore descrive i disturbi associati allo sviluppo delle rappresentazioni del sé e dell’oggetto e all’acquisizione della capacità di occuparsi di se stessi. Ancora secondo Crystal l’alessitimia può avere origine anche da un trauma psichico che avviene in uno stadio successivo dell’infanzia o da un trauma catastrofico subito dall’adolescenza o nell’età adulta. Anche se lo sviluppo affettivo è più avanzato, l’io del bambino più cresciuto o dell’adulto è sopraffatto dall’evento traumatico; ciò determina una rapida regressione degli affetti ad un livello preconcettuale con dedifferenziazione e risomatizzazione. Per trattare le relazioni che esistono tra alessitimia, affetti e trauma Crystal sottolinea che finché l’io non è sufficientemente sviluppato il bambino è incapace di utilizzare delle difese quali il diniego, la rimozione o la depersonalizzazione per moderare l’impatto del trauma psichico. In effetti, Freud considerava la rimozione come un meccanismo di difesa che non può nascere finché le esperienze non hanno trovato una rappresentazione psichica e non si è formata una separazione tra l’attività mentale conscia e quella inconscia. Mentre la rimozione era considerata una difesa dai desideri pulsionali, Freud concettualizzava il diniego come una difesa dalle percezioni e riteneva che queste implicassero una scissione dell’io. Freud tuttavia traccia un’importante distinzione tra rimozione primaria e rimozione vera e propria. Anche se la rimozione vera e propria è un processo difensivo che deriva dalla rimozione primaria, essa implica un’espulsione dalla mente conscia di desideri istintuali già formati e di altre rappresentazioni. La rimozione primaria, dal canto suo, è parente di un’altra idea di Freud cioè il suo concetto di forclusione, in cui degli aspetti dell’esperienza sono stati ripudiati e non sfociano in una rappresentazione psichica. Cohen e Kinston (1984) mettono in relazione la rimozione primaria con l’esperienza di eventi traumatici, specialmente l’incapacità dei genitori di venire incontro ai bisogni emotivi del bambino nel periodo preverbale dello sviluppo. Questi traumi non vengono mai compresi cognitivamente ma sono codificati come “elementi di esperienza prerappresentazionali come impressioni sensoriali, azioni stereotipate, reazioni fisiologiche e immagini ed affetti isolati”. Anche nella vita adulta dei traumi gravi possono sopraffare l’io ed evocare una rimozione primaria e una corrispondente regressione del funzionamento affettivo.
Le relazioni interpersonali e la modalità comunicativa dei soggetti alessitimici
I clinici affermano che i soggetti alessitimici tendono a stabilire delle relazioni di marcata dipendenza, ma che queste relazioni hanno un’alta interscambiabilità; in alternativa essi preferiscono restare da soli e evitare del tutto gli altri. Queste osservazioni cliniche suggeriscono che stili di attaccamento insicuro ambivalente e insicuro-evitante permangono oltre l’infanzia. Un recente studio condotto nel campo della ricerca sull’attaccamento dell’adulto(Schaffer 1993) ha dimostrato che l’alessitimia è fortemente associata in primo luogo con uno stile di attaccamento insicuro caratterizzato da una ricerca compulsiva di cure. Lo studio mostrava che indipendentemente dal tipo di attaccamento i soggetti fortemente alessitimici tendono a impiegare uno stile di regolazione affettiva orale e somatico, come l’abbuffarsi o lo sviluppare un sintomo somatico; questi stili di regolazione affettiva non sembravano essere particolarmente efficaci. Al contrario i soggetti dall’attaccamento sicuro mostravano un basso livello di alessitimia ed utilizzavano il comportamento interpersonale e la fantasia di parlare con una persona amata come metodo di regolazione affettive. Questi stili di regolazione affettiva avevano una buona efficacia. McDougall (1978) ha osservato che pazienti alessitimici utilizzano il linguaggio come un atto piuttosto che come un mezzo di comunicazione simbolica di idee o affetti. Come Crystal anche McDougall considera questo stile comunicativo come una conseguenza di un trauma psichico precoce. Nel tentativo di comprendere le reazioni di contro transfert provocate da questo stile di comunicazione non simbolico, Mc Dougall, e Taylor (1977,1984) hanno riferito che alcuni pazienti alessitimici fanno un uso estensivo dell’identificazione proiettiva per scaricare sugli altri i propri stati mentali intollerabili. Langs (1978) si riferisce questo stile cognitivo chiamandolo modo di comunicazione di tipo B, in opposizione un modo di tipo A simbolico e interpretabile, che viene invece usato dalla maggior parte dei pazienti psiconevrotici. I pazienti affetti da forme gravi di alessitimia sembrano tuttavia fare uno scarso uso dell’identificazione proiettiva. Il loro stile di comunicazione non simbolico corrisponde a quello che Langs chiama tipo C, nel quale il linguaggio è utilizzato per creare barriere impenetrabili, che bloccano ermeticamente l’accesso alla vita mentale e impediscono la formazione di legami emotivi significativi con gli altri. Entrambi questi modi di comunicazione possono provocare reazioni controtransferali negative come la noia, il che si verifica regolarmente nel corso della terapia psicoanalitica condotta su pazienti alessitimici (Taylor, 1984).
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